Pensieri e parole nel mio viaggio in Val Maggiore
Sto passeggiando nel mio parcheggio sotto il Doss Trento con gli uccellini che cantano a più non posso e iniziano i primi aliti giornalieri dell’Ora del Garda e sento le piante iniziare a suonare. E questo mi riporta indietro alla notte di Vaia. Quella notte fra il 28 e 29 ottobre del 2018. La notte che avrebbe stravolto il paesaggio di molte zone alpine. Sul divano di casa, stretta nella coperta, ascolto l’ululato costante del vento e le raffiche che sembrano spostare la casa. Avverto chiara la sensazione che sta accadendo qualcosa di forte che cambierà, forse per sempre, la nostra percezione di vento.
Un pò alla volta arrivano le prime notizie. Allarmanti. Il giorno dopo le prime immagini. Un disastro. Un vero disastro. Di proporzioni inimmaginabili difficile da quantificare ancora adesso. Il mio Trentino scosso, le mie valli che hanno subito un cambiamento morfologico che non ha eguali, almeno a memoria nostra. Un paesaggio desolato, desolante che fa scendere le lacrime. Luoghi che non saranno mai più uguali. Poi rivedo la Val Maggiore in Val di Fiemme immersa nel meraviglioso Lagorai.
Verso la Val Maggiore
Ci sono stata con mio papà e il mio compagno. Mio papà che la montagna l’ha vissuta quotidianamente e la conosce molto bene, propone di andare in Val Maggiore verso Cima Cece, nel cuore del Lagorai, a fare un’escursione che avrei sicuramente apprezzato Pronti, via. Le previsioni meteo davano una giornata calda e soleggiata ma non fu proprio così, ma direi che la giornata fu splendida per noi. Da Predazzo prendiamo la stretta e impervia strada che ci condurrà a Malga Valmaggiore. In questo tratto di 7 chilometri c’é un miracolo della natura: maestosi abeti che hanno un’età misurabile in secoli che conferiscono al bosco un’aura mistica. Il Bosco che suona. Il bosco degli Stradivari. E suona davvero. Non solo i tronchi di legno pregiato che, nelle mani di sapienti artisti artigiani, diventano strumenti perfetti. Suonano anche i rami, le fronde che il vento muove armoniosamente. Avete mai sentito un bosco che suona? Che respira? Se vi capiterà di esserci di passaggio in macchina ecco, fermatevi, scendete e ascoltate. Noi lo abbiamo fatto e il bosco che suona ci ha offerto una vibrante sinfonia fatta di respiri, aneliti e momenti di silenzio. E questa musica la avverti tutta attorno che ti avvolge e ti abbraccia. Alle narici arriva l’odore della resina, del muschio, degli aghi di abete, dell’humus del sottobosco che sembrano risvegliare ancora di più i sensi e le percezioni.
La furia di Vaia
Dopo esserci riempiti di questa meraviglia e con una grande sensazione di pace, siamo ripartiti alla volta di Malga Maggiore verso la nostra gita. Ma di questo vi parlerò un’altra volta. Si perché fu una giornata molto intensa e impegnativa. La furia di Vaia non ha risparmiato il bosco che suona. No. Lo ha quasi raso al suolo. La Val Maggiore non tornerà a essere il bosco che suona, almeno per tanti decenni a venire. Ne avremo solo ricordi che con il passare del tempo diventeranno sempre meno nitidi. Per questo ho voluto partire da qui, per mettere in parole quei momenti, cosicché, quando diventeranno più confusi le andrò a rileggere e rievocherò la memoria per non dimenticare. La natura ancora una volta ci ha dimostrato che non la si può controllare. Noi non siamo gli “esseri creatori di vita” che pensiamo. Noi siamo stati creati. Ma forse non lo capiremo mai. Neanche oggi nei giorni del Coronavirus.